Risposta

   Pubblichiamo integralmente la risposta che l'amico Vito Sbrocchi dà all'intervento del prof. Tonino Iarlori in merito al nome da attribuire alle vecchie fontane di Via della Fonte.

   Comunque vorrei sommessamente invitare questi miei due amici ad evitare toni troppo accesi e a rimanere all'interno di un civile dibattito.

   A scoppio ritardato l’assessore alla cultura del Comune di San Vito Chietino, prof. Antonio Iarlori (badate bene, ho scritto prima il nome e poi il cognome perché nella lingua italiana è questa la forma corretta), si sveglia all’improvviso dal torpore e decide di controbattere ad un mio articolo pubblicato su questo sito lo scorso 21 aprile. A questo punto, come direbbe Antonio Lubrano, la domanda nasce spontanea: come mai il prof. Iarlori ha replicato al mio scritto dopo quasi quattro mesi? Nel pezzo si parlava della decisione della giunta municipale di sostituire il nome di Fonte Cupo con quello di Fonte Napoleonica. Chiarisco subito che sia per la prima che per la seconda titolazione non esistono fonti documentarie: sono entrambe frutto di pura fantasia. Di certo si sa che l’antica fontana, costruita nel lontano 1814, veniva chiamata dalla popolazione con il semplice nome dialettale di “Fonte viecchie”, cioè “Fonte vecchia”.        

   Questi i fatti reali, tutto il resto sono solo chiacchiere. Non si comprende quindi per quale ragione l’assessore Iarlori abbia voluto sostituire una titolazione, inventata semplicemente per dare un nome alla fonte perché non l’ha mai avuto, con un’altra ideata lo stesso di sana pianta. Tra l’altro, come già detto nel mio articolo del 21 aprile, si è voluto scomodare il grande Napoleone Bonaparte che con San Vito non c’entra un bel fico secco. Per cui, morale della favola, l’amministrazione comunale avrebbe potuto lasciare anche il vecchio nome di Fonte Cupo e preoccuparsi magari di tagliare la vegetazione infestante presente lungo la strada che conduce ai monumenti cittadini, che ancora oggi rende praticamente impossibile l’accesso alle fontane. Comunque, come si dice, chi comanda fa legge e magari i futuri amministratori cambieranno di nuovo la titolazione con un altro nome di fantasia. Vorrei inoltre precisare che anche il sottoscritto, da molti anni, è in possesso di una copia del progetto di costruzione dell’antica fontana di cui parla il prof. Iarlori. Nell’elaborato grafico, oltre alle firme del sindaco dell’epoca e del progettista, non compare alcuna data. L’unico riferimento certo resta quindi l’anno impresso sulla facciata della fonte, cioè 1814. Passiamo ora alla data di demolizione della chiesa di Santa Maria della Concezione (conosciuta anche come “Règia parrocchiale di San Vito”). Anche qui il professore pontifica e afferma che è tutto sbagliato. Consultando il mio archivio privato (vi sembrerà strano, ma anch’io ho messo su un archivio personale) ho trovato un corposo documento del 1906 relativo ad una causa civile tra il Comune di San Vito Chietino e il Demanio dello Stato (si tratta di una memoria difensiva degli avvocati Francesco Pettinelli e Venceslao Spinelli del Foro di Lanciano). Nell’atto si legge testualmente: “…la Chiesa in parola, contando una vita di più centinaia di anni, bisognosa di restauri, sempre trascurati, fin dal principio del secolo passato (XIX sec.), minacciò rovina nel 1857 e nel 1866 era crollante per vetustà, sicché nel 1870, per ragioni di pubblica sicurezza fu dovuta demolire, temendosi che avesse potuto da un momento all’altro crollare e travolgere nella rovina il rione circostante che era il più popolato e frequentato del paese”. Dal documento si desume quindi che l’anno (1870) riportato nella lapide in piazza Garibaldi è esatto. Probabilmente l’arch. Tito Altobelli nel 1871 parlava di una demolizione già avvenuta (infatti affermava che “era urgente procedere alla demolizione”, altrimenti avrebbe detto “è urgente procedere alla demolizione”; bisognerebbe leggere tutto il documento per capire meglio e non un solo periodo del discorso).

   In ultimo il prof. Iarlori mi accusa di aver “plagiato” uno scritto di Teodorico Marino e Luigi Renzetti pubblicato nel 1926. In effetti nella mia pubblicazione, intitolata “Storia di San Vito Chietino, dalle origini agl’inizi del ‘900” (numero speciale di “Antiche cronache sanvitesi”), sono stati presi ampi stralci dall’opuscolo edito dalla tipografia Mancini di Ortona. Del resto la storia del nostro paese non me la potevo inventare. Da parte mia l’unico errore commesso è stato quello di non citare la fonte documentaria. Un errore di dimenticanza causato dalla fretta di andare in stampa. Ora però, grazie al prof. Iarlori, si sa qual è. Tuttavia nel mio libretto, pubblicato a cura dell’Archeoclub di San Vito Chietino e molto apprezzato dai lettori, ci sono anche belle foto e mappe originali che l’assessore non ha ritenuto opportuno evidenziare. Per concludere vorrei rivolgere una domanda al prof. Antonio Iarlori: come mai, dopo ben 40 anni di ricerche storiche su San Vito, si è limitato a scrivere solo qualche sporadico articolo di storia su periodici locali e non ha pubblicato nemmeno un libro?

                                                                            Vito Sbrocchi