La mèse

 

   È bella la madia che una mia amica esibisce nella sua rustica tavernetta ma, pur essendo di buona fattura artigiana, rivela nel legno usato e nella finalità dell'arredamento la sua inconfondibile modernità.

   La mèse invece della rusticissima casa che io ricordo campeggiava nella essenzialità del mobilio di una cucina nella quale occupava la parte importante di una parete ed era così alta, rapportata naturalmente alla nostra altezza, che quando ci arrampicavamo sullo sgabello per curiosare ci si raccomandava di non "cascarci dentro" e di non schiacciarci le dita, perché il coperchio era grande e pesante. Dì legno massiccio e dalla tonalità indefinibilmente scura segnava attraverso le generazioni il benessere (te' la mèsa piene) o la povertà delle famiglie (te' la mèsa svuodde).

   Dispensa capace per farina, pane, pasta e quant'altro di granaglie e di legumi fossero presenti in casa (ma guai se questi ultimi si cellavano) nel periodo intermedio tra una panificazione e l'altra, in genere a cadenza settimanale o quindicinale, nel giorno stabilito veniva svuotata per impastarvi il pane.

   I bambini erano attratti in modo particolare da due oggetti legati alla mèse ma usati anche in altri contesti: la radèmese e lu carratore. Con il primo arnese si raschiava anche il tavolo o la spianatoia dopo l'impasto, con i! secondo, oltremodo attraente par la sua rotellina dentata, si ritagliava in vario modo e a seconda della necessità la sfoglia,

   Se si riusciva ad averli bonariamente dai grandi, acconsentendo magari alla richiesta dì una mmascìatelle ci si poteva divertire all'infinito impastando li ciarullitte che si ottene­vano dalla raschiatura e sagomando con sbrigliata fantasia la pìttilucce.