La vròcche
Dicevano:
"s’à da pónne’ la vròcche!” e preparavano il vecchio
canestro con la paglia pulita sulla quale adagiavano con cautela
le uova debitamente "hallate".
Vi saltava su la chioccia,
se le aggiustava sotto e iniziava silenziosa, compresa nel
suo ruolo, la "cóve",
alzandosi solo per mangiare, bere,
sgranchirsi e liberarsi di puzzolentissime cacche.
Nel linguaggio quotidiano non
mancavano i riferimenti per analogia: "puzze
gne quelle de la vrócche!". Dopo "vintuna juorne", giorno più giorno meno, a
seconda della stagione e del calore trasmesso, le uova cominciavano a schiudersi ed era spettacolo emozionante quando il pulcino goffo, bagnato e con gli
occhi chiusi riusciva a liberarsi del guscio.
Si
aspettava per curiosare quando la chioccia scendeva per rifocillarsi, ma poco si poteva fare per non disturbare quel piccolo grande rito che la natura celebrava in armonia con i suoi cicli.
Sciamavano
poi con la madre "li pìgginielle"
sulle aie e lei si trasformava in educatrice perfetta e in custode attenta e agguerrita, lei
considerata da sempre una stupida. "Te’ lu cervelle de ‘na halline!".
Si riscattava proprio nel suo ruolo di "vrócche" tantoché di madri
battagliere che difendevano ì figli
si diceva "pare 'na vrócche" e se i figli li teneva sempre vicini
ugualmente si diceva "se li te’ sott'a la hónne gne ‘na
vrócche".
A tutto questo pensavo
osservando le due
scimmiette clonate cosi spaurite, così desolatamente sole.