Li caracine

   Nicola ci prova tutte le estati a prepararne secondo l’antica usanza, «almene pe’ la tradizione», ma ogni anno che passa la quantità si assottiglia, perchè per gran parte «li caracine» ammuffiscono o si riempiono di vermi. E di volta in volta la colpa va a «le staggione che s’a cagnite; a l’acquare; a li ficure che è già ammalite prime di mettele a seccà’».

   Fatica sprecata! Si trovano in tutti i supermercati, provenienti per lo più dalla Turchia, ma ne conosco anche una qualità di produzione calabrese, ricoperta da una ghiotta glassa alla cioccolata. Non mi entusiasmano molto e non perchè non siano buoni, ma perchè da sempre «li caracine» sono associati a gesti e scansioni temporali non più recuperabili nell’asettica e anonima confezione.

   Asciutti devono essere i fichi e ben maturi, anzi «già mezz’accaracinite», sistemati con ordine sui graticci secondo colore e qualità, rigirati con attenzione e pazienza, perchè seccassero bene da ogni parte, rientrati o coperti alla sera e, se si metteva a piovere, «curre a rentrà’ li caracine!». Prosciugati, con il picciolo che era diventato sottile sottile, morbidi e zuccherini venivano sistemati in cassette, profumati con foglie di alloro, conservati in luogo asciutto e ben protetto, «se no se le jave a magnà’ li surge».

   Imbottiti con mandorle o noci costituivano un ottimo dessert, risolvevano una cena, aiutavano a “mantenere” lo stomaco, si trovavano nella calza della befana, erano un premio. Za Lelle, «che s’avé ‘ccaracinite pure esse», me ne dava ogni volta che l’andavo a trovare e se non li aveva già nella tasca «di lu zinale», li andava a prendere sotto l’ultimo cassetto del comò. Li accompagnava con un pugnetto di «ménele»: - «Acciacche e magne, zie!».

* Caricina è diminutivo di carica, il nome latino legato a caria una varietà di fichi provenienti dall’omonima regione dell’Asia minore (odierna Turchia meridionale), introdotti, secondo Plinio il Vecchio, nella colonia di Alba Fucens (Abruzzo settentrionale), mentre nell’Abruzzo meridionale era diffusa una qualità di fichi dai frutti piccoli e poco dolci, «li ricinelle» o «recinelle» (dal greco erineos, fico selvatico).