Lu papāmbre
Non appena compare lungo
i cigli erbosi o su "le ppittate al sole mi regala un'insolita felicitā con l'eleganza del suo bel rosso deciso.
Sarā fragile e molle, come cantano i poeti che alla
similitudine con il papavero ricorrono per significare la precarietā della
cose belle o la morte prematura dei giovinetti, ma quando esplode in tutta la
sua vitalitā i campi sembrano un inno dė gloria.
"Lu papāmbre" ha allietato giochi d'altri tempi, tanto
per abbellire i capelli, quanto per tatuare con il "cuore" esotiche stelline sulle fronti, mentre i petali
ritagliati e appiccicati "naturaliter" con la saliva sulle unghie, fungevano da
smalto, il meno durevole che ci fosse, ma pur sempre attraente nella trasgressivitā.
Con decotti
di "papambróne" (né pių né meno che papavero da oppio) le
nostre mamme, per poter sbrigare "le
mmasciate" ci hanno indotto a sonni
lunghi e profondi e non pochi ricorderanno una intimazione: "zitte, ca mo ti le tire
n papāmbele!" (altra variante del nome) o pių velocemente:
"Mo ti li tire
nu papāmbele!", accompagnata
dallinequivocabile gesto di un manrovescio.
E passato pių che qualche anno da quando una popolare
canzone parlava di alti papaveri e piccole papere incantate a guardarli nel
sole di maggio.
All'epoca i fiori avevano
un loro linguaggio e le canzoni una loro, per quanto castigata, allusivitā.