Lu spranzone

   Il vocabolo riemerse dai penetrali del subconscio e scosse la scolaresca nel bel mezzo della spiegazione degli “Erga” di Esiodo, laddove il poeta greco dell’VIII° sec. a.c. spronava il fratello Perse, che di lavorare non aveva affatto voglia e menava beghe per ottenere ciò che non gli spettava, ad essere operoso.

   “Fame sempre è compagna dell’uomo pigro” tuonava e nel prosieguo di tali contesti veniva ad asserire: “Il lavoro non è una vergogna; è l’ozio vergogna”. Le citazioni non sono finalizzate ad inutili moralismi in tempi durissimi per chi lavorare vorrebbe e lavoro non ha, ma per un brevissimo flash comparativo. Terribile era per la mentalità dei padri la qualifica di «spranzone» e dura risuonava la condanna: «à nate spranzone»; «fa lu spranzone»; «vû fa’ lu spranzone?». Da giovane pollone che si allunga e che spesso è di danno alla pianta perchè succhia la linfa, ma non produrrà frutti, «lu spranzone» è chiunque consumi oziosamente il suo tempo, succhiando dagli altri ciò che dovrebbe procurarsi con il proprio lavoro.