Lu vicinate.

 

   Comprendeva tutte le case che si sno­davano lungo il tratto di strada bianca che riuscivo a controllare a quell'età, avendo come punti cardinali la casa di zâ

Elodie, abballe, e quella di li Bruscicce, ammonte, e non trascurando un riferimento per me importante, ma deviato rispetto alla linea, la casa di zâ Finucce, dove giocavo con le nipoti mentre lei, le figlie e le nuore mi coccolavano.

   Ma lu vicinate cchiù vicinate erano le case di zî Tuccelle e di zâ Marie; in queste mi trattenevo più a lungo, rice­vendo cura ed attenzione. A casa di zâ Marie mangiavo l'ove arroste sott'a la cìnice con Vitucce, la mia compagna di giochi più amata.

   Sentivo ripetere: menemale ca lu vicinate è bbone! Lu bbone vicinate è la furtune di na case. Uajje a chi te' nu mmale vicine!

   Proprio cosi !

   E per quanto mi avessero inculcato il principio di lasciare la casa all'ore de lu magnà’, pecchè nen zi sta a cuntà’ le mucciche, il mio vicinato (ed erano tem­pi duri per tutti) mi faceva condividere quello che c'era in tavola. Questo accadeva in quel "villaggio globale" che era allora per me li Mancine.

   Oggi il mio vicino ha schermato con brutta plastica grigia i! divisorio del balcone per tutelare, mi ha detto, la sua privacy quando  pranza fuori.

   Ha pensato, forse, che potessi contargli le mucciche.