I trabocchi e il silenzio (2)

   Pubblichiamo la seconda parte di questo articolo e invitiamo coloro che volessero leggere anche la prima parte a cliccare sulla parte evidenziata. (Clicca qui)

   Per noi sul trabocco si sosta in silenzio per poter "percepire" e il "percepire" richiede tempo, lentezza, libertà d'ozio che permette di soffermarsi a cogliere il silenzioso fluire delle cose, i fruscii sommessi, le dissolvenze della lontananza. Il "perce­pire" richiede di non essere assillati dalla fretta nè da un risultato da raggiungere immediatamente. Nei luoghi troppo affollati, infatti, si rischia di "non vedere" cosi come di "non sentire" nulla in un ambiente troppo rumoroso. Perciò anche le visite andrebbero filtrate e calibrate per piccoli gruppi.

   Spalle alla terra per afferrare le tinte della lontananza, le sfumature di colore dell'acqua e la trasparenza dell'aria, la linea sottile dell'orizzonte, nelle narici penetra I'odore di umido e di sale, l'odore degli abiti dell'uomo di mare, l'odore del nostro passato che riemerge struggente e amaro.

   Sul trabocco è possibile vivere in un indeterminate altrove, in un'irraggiungibile latitanza, non desiderare alcunché. Il tempo resta profondamente nostro, un segreto inalienabile in uno spazio inviolabile.

   Il mare su una barca o da una barca può rivelarsi suadente e accattivante, carezzevole e appassionato, irascibile e crudele, furia devastante che non consente scampo o può concedere per un atto di clemenza, come si conviene ai dominatori assoluti, la sfibrante prova di uscire vivi da un naufragio. E’ sulla barca che I'uomo conosce che I'epicità del mare e terribile e canta di tempeste e naufragi, di lontananza e di pena.