Chiarimenti

   Abbiamo ricevuto dall'arch. Lucio Zazzara, una nota di chiarimenti in merito ai lavori che riguardano il trabocco, che si trova alla fine del molo di San Vito.

   Quando trattiamo un argomento non lo facciamo con l'intenzione di giudicare, ma solo di porre dei quesiti e di cercare delle risposte e una risposta ci è pervenuta dall'arch. Zazzara e la pubblichiamo integralmente e, come nostro costume, senza commenti.

  Mi chiamo Lucio Zazzara e sono il proprietario di quel trabocco, il S. Giacomo –in cima al molo di S. Vito-, che
l’anonimo estensore di un intervento sul vostro blog definisce ^oggetto informe”.
   Visto che l’opera è in corso, che è dotata di tutti i permessi e pareri e che viene realizzata in piena coerenza con
gli stessi, buon senso vorrebbe che si concedesse il beneficio del completamento per capire e giudicare. A meno
che non si voglia fare della semplice maldicenza e non si abbia la finalità di ostacolare un’opera (comunque essa sia)
per assecondare punti di vista interessati.

   Sono certo che questo non sia l’intento che anima il vostro intervento, tuttavia qualche dubbio mi rimane quando
leggo che il trabocco già trasformato avrebbe “mantenuto l’aspetto originario”. Chi vuole ricordare sa bene che il
trabocco di Nicola era tutt’altra cosa, senza togliere nulla al lavoro che poi è stato fatto.

   Come certamente comprende il vostro redattore il trabocco è un oggetto in un certo senso “vivo”, che risponde alle
sollecitazioni del mare e va continuamente manutenuto, con passione e dedizione, per sopravvivere.
   Anche il mio trabocco –ridotto ad un relitto a metà degli anni ‘80- ha avuto una vita movimentata, fatta di ingiurie
del mare e di danni provocati dalle persone: è stato completamente portato via da mareggiate per due volte negli
ultimi vent’anni ed è stato ricostruito ed ha potuto vivere ancora. Naturalmente ogni volta si è cercato di far tesoro
delle esperienze passate e la ricostruzione ha prodotto una struttura diversa da prima, ma sempre legata a quell’idea 
di macchina semplice, tradizionale e forte proprio della sua versatile fragilità.

   Si avrà la bontà di comprendere come questa sia la prima finalità di chi, comunque, ha continuato a credere nella
bellezza di questa costa con queste storiche appendici protese sull’acqua.
Forse il redattore del vostro articolo non sa che fu proprio il sottoscritto nel lontano 1986 a convincere l’allora Soprintendente
ai beni artistici e monumentali, l’arch. Renzo Mancini, della necessità di apporre un vincolo paesaggistico su tutti quei
trabocchi, della costa che va da Ortona a Fossacesia; il vincolo che consacrò quella che poi è divenuta la “Costa dei
Trabocchi”; l’intervento senza il quale si sarebbero addirittura dovuti demolire i trabocchi –come voleva la Capitaneria
di Porto-, perché ostacolavano il ricarico delle scogliere a protezione della linea ferroviaria.

   Signori de La Ginestra consentitemi di ricordare il titolo che comparve sul quotidiano Il Centro -una ventina di anni fa,
in occasione della prima ricostruzione dopo una mareggiata-, con fotografia presa dal Colle: “L’orrendo cubo giallo”. Il
giornalista, spinto dalla volontà di fare un piccolo scoop a tutti costi, oltre che dalla lettera di protesta di un sanvitese,
semplicemente non si era reso conto del fatto che la ricostruzione del casotto si stava facendo con tavolame di pino
nuovo (e giallo) che nel giro di tre mesi divenne grigio.

   Spero che vorrete pubblicare questa mia replica considerandomi a disposizione per ogni chiarimento sull’opera in corso.

Lucio Zazzara