Rizzìre
Quando l'economia del paese era, in gran parte, basata sulla pesca con le numerose "paranze" a vela, collegati ad essa, vi erano tipi e mestieri, oggi scomparsi.
Oltre ai vari: barò 'Ntonie, barò Tumàsse, li calafáte, li pesciarùle, lu parzìnnèvele, ecc.. ve n'erano alcuni secondari e, tra questi: Rizzire, lu bannitòre.
Allorché la pesca era abbondante e il pesce non veniva smaltito tutto alla Marina, lo portavano i pescatori in paese sui larghi "panari" gocciolanti, disposto a corona e ben ripartito; sostavano, i venditori accanto alla fontana, situata al centro della piazza e chiamavano: - Rizzì, iètte lu bànne. - Lui, afferrando la lucente trombetta, si avviava con sussiego verso "capammonte" fino all'ultima casa di "chimmìpaghe", poi verso il colle, ripetendo il consueto ritornello: - Tu... tu - tu tù... chi vò' accattà lu pesce... a la piazze si vènne... tu tù, tu tù.
Era un mutilato di guerra del 1915/18, claudicante, con l'immancabile bastone e la lucente trombetta appesa alla cintola: scamiciato e panciuto, gironzolava in piazza fumando un mozzicone di sigaro; aveva una voce profonda, da baritono, intonata e possente che riempiva l'aria.
Io lo ricordo così, come lo vedevo nel solo periodo estivo, quando tornavo per le vacanze, dal collegio ove compivo i miei studi. Il suo passaggio, costituiva un allegro diversivo per me che tornavo dal severo silenzio d'un monastero benedettino di clausura da dove non si usciva neppure per la scuola che era annessa al convitto.
Così, quando rintuonava la squillante trombetta, mi affacciavo al balcone per gustarmi i dialoghi, le scenette che accompagnavano l'arrivo di Rizzìre; dalle porte, le interessate all'acquisto, chiedevano informazioni e dopo, aggiustandosi la "mandusìne" sulla lunga gonna e ravviando i capelli con la pettinessa intrecciata sul "tuppo", andavano sveltamente verso la piazza.
Quando Rizzìre era in vena esibizionistica o rinvigorito da un buon bicchieruccio (passando davanti alla cantina di "lu varilòtte" ), il ritornello si allungava con consigli gastronomici: - Currète a 'cattà lu pesce,., ci sta li mazzulìne, li risciùle, li mirlùcce pe' lu brudette, li cianghétte, li calamarìtte pe ' frìie... currète a 'ccatta lu pesce a 'bbòmercate tu... tù... tu... tù. -
Spesso, i monelli scalzi e chiassosi che affollavano le vie, lo seguivano trombettando con le mani, a pugno sulla bocca e lui li minacciava col bastone, ma, paziente e bonaccione, riprendeva i suoi passi.
Giunto in piazza, gli davano un po' di soldi e il pesce per la cena. Qualcuno, incontrandolo, lo salutava dicendogli: - O Rizzì, mò ti vi 'ffà na bona magnàte? - E lui: - Embè... scì... picchè li vulìsse tu? - Come se gli invidiassero il frutto del suo lavoro.
Poi tornava silenziosa la strada, mentre, a ponente, dietro il maestoso profilo dei monti, il cielo si imporporava di luce fiammeggiante come se il sole, volendo ancora indugiare per sottrarsi all'inevitabile tramonto, desse ancora un segno della sua potenza, incendiando le nubi con strisce di fiamma, dorate, gialle, rosei cirri vaganti: un arcobaleno fantasioso e ribelle: un quadro stupendo, dipinto dalla natura.
Man mano, le tinte si
attenuavano, vinte dalle prime ombre, quiete e serene della sera; qualche
rondine sfrecciava ancora nell'azzurro ubriaca di luce, di libertà, mentre la
terra, le cose, gli uomini, attendevano il riposo notturno.
Teresa Cleri Molino