I sanvitesi ed il mare (7)

Tommaso Nobile oltre alla posa della prima pietra ne mise anche una sui rapporti che per secoli avevano visto Lanciano, e di conseguenza anche San Vito con il suo porto, acerrima avversaria di Ortona proprio su quei luoghi dove si svolgeva la cerimonia. “Dove furono contese e lotte violente, oggi compiamo il nostro rito nell’assenza degli antichi dissidi, delle antiche gelosie, delle antiche gare di campanile nella luce della concordia [1] in questi termini si esprimeva il Nobile anche per “ringraziare” l’ispettore del Genio Civile, l’ingegnere Berardi, cittadino di Ortona col cui contributo i lavori del porto non sarebbero mai iniziati. Tommaso Nobile, parlando di San Vito, raccontava come “un dì si raccolse fara piccola e modesta intorno alla chiesuola in riva al mare[2], dando prova anche di cultore di storia locale.

Tutto questo accadeva nel 1918 ma passarono anni prima che la costruzione del porto vedesse la fine ci si trovava, del resto, in un periodo post-bellico. Il progetto iniziale prevedeva, in realtà, la costruzione di due moli per realizzare un porto canale e convogliare in esso le acque del fiume Feltrino. Nel 1921 era stato già redatto il progetto per il molo a nord del Feltrino e nel 1926 si era pronti per l’esecuzione dei lavori ma ciò avrebbe danneggiato notevolmente il lavoro della flotta peschereccia e l’allora Podestà faceva notare che “le condizioni in cui versa la spiaggia rendono difficile l’approdo ed il tiraggio a terra dei battelli, questo centro marinaio, il più importante della Regione e, dopo S. Benedetto, del litorale, anche per numero di galleggianti, è danneggiato grandemente nella industria della pesca nella quale è interessata e trae l’esistenza gran parte della popolazione”. [3]

Tra questa “gran parte della popolazione” vi erano compresi anche i commercianti del settore i cui sacrifici per sbarcare il lunario non erano inferiori a quelli dei pescatori. C’era chi, fornito soltanto di un carretto trainato da un cavallo o da un mulo, la sera provvedeva a ghiacciare il pescato e a notte fonda si incamminava nei paesi dell’entroterra ritornando a casa soltanto nel tardo pomeriggio del giorno dopo.

Nell’aprile del 1923 l’amministrazione comunale fece un richiamo al Ministero dei Lavori Pubblici cercando di sollecitare, anche tramite l’intermediazione dell’allora Consigliere Provinciale Tommaso Nobile, dei provvedimenti urgenti prima dell’inverno al fine di evitare che numerose famiglie venissero gettate sul lastrico col rischio, inoltre, di turbare l’ordine pubblico e “coll'ulteriore sviluppo di sentimenti antinazionali e anarcoidi, che negli ultimi tempi per un complesso di circostanze sono venuti subendo una notevole modificazione.”


[1] ibidem

[2] Si tratta della Fara di Danferio al tempo della discesa dei Longobardi (VI sec. d.C) e della chiesa di S. Vito Martire e non della Chiesa della Madonna del Porto posta in località Murata.

[3] T. Marino – L. Renzetti, San Vito Chietino e l’Eremo di G. D’Annunzio, 1926 Soc. Bibl. Abr. Ortona, p. 25